Mirko Panattoni, la moto è un ingrediente fantastico per dare un sapore unico alla vita

La passione per la moto? E’ un “ingrediente” straordinario per dare un sapore unico alla vita. Meglio…

La passione per la moto? E’ un “ingrediente” straordinario per dare un sapore unico alla vita. Meglio ancora se con un “contorno” di gite fuoristrada in scenari bellissimi in compagnia di amici a cui si è legati da un legame profondo, amicizie resistentissime, come sanno esserlo le catene di un enduro…. Parola di un ristoratore pilota, Mirko Panattoni, alla guida di uno dei ristoranti più notidi Bergamo e non solo, La Marianna, in Città Alta, oltre che delle due ruote di cui non ha mai saputo fare a meno. Una passione  per il fuoristrada che ha avuto la meglio su tutto: comprese qualche “caduta” e, soprattutto,  un padre che ha tentato in tutti i modi di impedire ai figli di usare le due ruote, come racconta lo stesso Mirko Panattoni. “La passione per le due ruote trova le radici già nella mia infanzia. Mio fratello Popi era, ed è, un grande appassionato di moto. Nei miei ricordi di bambino lo vedo ancora, ragazzo, che, con gli amici della “Compagnia di Colle Aperto”si esibiva in gincane e garette al famoso “chi tiene più su una ruota…”. Vedendomi “stregato” dalle due ruote, al compimento del mio quattordicesimo anno, mio padre mantenne la promessa che gli avevo “strappato” regalandomi, grazie all’amicizia con Lino Cornago, un Fantic 50 Caballero usato. Ero al settimo cielo, quella sella mi teneva incollato a sé. La magia, purtroppo, ebbe però vita breve… Solo dopo pochi mesi, nel tratto di via che porta dalla Marianna al Pianone, mi lanciai in un sorpasso poco ortodosso senza accorgermi che, ahimè, alla guida di quella macchina bordeaux, che non conoscevo, c’era mio padre. Il “Caballero”, di cui ero follemente innamorato, mi fu sequestrato e, come se non bastasse, addirittura venduto a un giovane collaboratore della Marianna in modo tale che io potessi incontrae la mia ex moto  ogni giorno nella consapevolezza di non poterla mai più riavere. Dovettero trascorrere quasi due anni per riuscire a riavere un mezzo decente. Mio padre, che certamente non disdegnava le due ruote, era infatti terrorizzato dal fatto che mi potessi far male (cosa peraltro che è capitata…anche più di una volta). Tutte le volte che uscivo in moto era una guerra. Il buon Enrico non si è mai rassegnato alla mia passione… tanto da non mancare di dirmi, ogni qualvolta mi vedeva in sella, pronto per partire per una delle mie cavalcate: “ti riporteranno a casa in una cassa di zinco”… Mi ha talmente amato che non ho mai potuto biasimarlo per questo”. Del “Caballero” era innamoratissimo ma la due ruote più amata è stata un’altra… “Una modesta Honda 125 xl 4 tempi che avevo trasformato, si fa per dire, in una enduro; insieme a “lei” ho percorso tutti i sentieri, possibili e non, delle nostre valli, molto spesso anche spingendo e imprecando. Mi sono pentito di averla venduta – anche se ormai era poco più di un rottame – perché quella moto è legata a ricordi indelebili della mia giovinezza. Un grande amore, così come lo è stata la Scuderia Norelli, che peraltro è stata fondata sull’ uscio di casa mia. Un amore nato nei primi anni ’90 con l’avvento del trofeo Von Wunster, antesignano del gruppo 5. Io “il Pacchio” e “il Panda”, amici di sempre e tutti pilotini Norelli, stazionavamo, ogni pomeriggio, nell’officina dei mitici Franco e  Claudio Tura per farci preparare le moto e, non nascondiamolo, anche  per bighellonare un poco insieme”. Momenti felicissimi che a Mirko Panattoni fanno tornare alla mente i viaggi fantastici di Peter Pan e la sua amica Wendy, capaci di volare, insieme con i bambini perduti e con un pizzico di polvere magica, fino all’isola che non c’è. Ma altrettanto fantastici erano i viaggi in sella alle due ruote con  compagni di viaggio a loro volta unici e insostituibili  e come destinazioni tante piccole “Neverland”: in questo caso  “isole” popolate da boschi, prati e sentieri sui quali scorrazzare domando i cavalli della propria moto… Con un viaggio, in particolare, più “fantastico” di ogni altro….. “Per una dozzina d’anni consecutivi il giorno del mio compleanno, che cade il primo di luglio, organizzavo, con il mio gruppo storico, una meravigliosa cavalcata: si partiva dalla Ripa di Gromo e si arrivava al passo di Portula. Da lì si scendeva al rifugio Calvi per proseguire al Prato del lago e prendere il sentiero di Sardegnana che porta fino ai laghi Gemelli prima di proseguire – rigorosamente dopo una sosta per un lauto pranzo – in su, per il passo di Aviasco per scendere poi la vallata meravigliosa dei Cinque laghi fino a Valgoglio prima di tornare ai furgoni. Oggi, oltre al fatto che rischierei la galera, non sarei più in grado di farlo. Ogni tanto, di quel percorso che allora durava oltre 12 ore, faccio dei tratti  e spesso mi trovo a telefonare a qualche vecchio compagno d’avventura domandandogli: “Oh mai sei sicuro che passavamo di qui?”. Amici con cui a volte ancora oggi si ritrova pronto per fare una nuova “cavalcata”. Primo fra tutti Gianluigi Paganessi che, confessa Mirko Panattoni, “da ragazzino era il mio idolo: già famoso all’epoca Gianlu sembrava fermo, ma ogni curva mi allungava di dieci metri, un pilota straordinario e un uomo di rara intelligenza. Poi c’è Alberto Pacchioni, “Il Pacchio”, insieme con Gianlu uno dei miei più cari amici che, pur non essendo un affermato pilota, come me, del resto, mi ha insegnato quasi tutto quello che so sulla regolarità. Con lui, per quasi quaranta anni, ho condiviso tutto il mare magnum del mondo del motociclismo”. Amici con i quali Mirko Panattoni ha vissuto anche il fascino di straordinarie gare, con una in vetta a tutte: la Valli Bergamasche. “Una gara unica, come unica è stata la vittoria di Fabio Farioli, a cui ho assistito, nel 1994, con il nostro gruppo che faceva un tifo da stadio”. Ricordi che emergono dalla memoria legati uno all’altro al termine di una giornata trascorsa proprio in sella, in compagnia dell’inseparabile Gianlu che proprio lui, Mirko Panattoni, ha spinto a tornare al vecchio amore dopo che  l’amico pilota, e gioielliere (clicca qui per leggere il profilo) si era “impoltrito anche fin troppo. “Gite che ci regaliamo e che contiamo di fare finché  lil fisico reggerà”, racconta Mirko Panattoni, “ritagliandoci un giorno alla settimana da dedicare all’uscita in moto. Enduro, epoca o motoalpinismo, non importa: per me è una dipendenza. Quando capita, per un motivo o per l’altro di non riuscire ad andare,  mi pervade un malumore generalizzato che mi trascino, per buona pace della mia famiglia, per  giorni. Diversi miei compagni d’avventura di oggi sono  ben più giovani di me, ma anche questo mi serve da stimolo per rimanere in forma per stare “al passo”. Il mio sogno nel cassetto è quello di percorrere tutta la dorsale appenninica tra sterrati e tratturi fino alla Sicilia, un desiderio non impossibile, ma che necessita di tempo che oggi ancora non posseggo”. Un sogno, così come lo è sempre stato quello di “vivere nel contesto storico di Alberto Granado e Ernesto Guevara, il leggendario “Che”, come loro compagno d’avventura nello straordinario viaggio dei “ Diari della motocicletta”, un mondo fatato e perduto dell’America Latina che non ritroveremo mai più”. Quello che invece Mirko Panattoni ritrova invece puntualmente, durante ogni escursione in moto, è “il convivio, diventato ormai il momento clou della giornata. Va da sé che, insieme al percorso, si scelga anche il ristorante di prossimità. E notorio che l’enduro mette fame”. Parola di uno che la ristorazione la “guida” da decenni da campione e  che “non se la sente di porre un limite all’appetito di ciascuno…”, stando attendo, al massimo, a richiamarli a non esagerare con il vino”. Cibo e vino, lavoro e passione di una vita che Mirko Panattoni non “lega” però all’altro grande amore, per le due ruote….. ”Sono due mondi separati: il primo fatto dei profumi e dei sapori della cucina del mio ristorante; il secondo popolato dall’odore del fango sulla marmitta calda e dalla puzza della miscela sulle mani, con la “colonna sonora” del rumore gli scarponi che fanno scricchiolare la brina e tanto altro che evoca in me il pensiero della moto. Sensazioni che mi ritrovo a rivivere spesso anche una volta rientrato, la sera, quando stanco ma felice, torno a essere Mirko della Marianna, e ritrovo i migliori sapori e profumi della tavola”. Nel suo ristorante in  Città alta, in Colle Aperto, una delle più belle “location” che si possa immaginare per una cena. Zona ad altissima vocazione turistica. E con Bergamo che si propone, guarda caso, di attirare sempre più mototuristi: l’idea le piace? E avrebbe qualche idea per contribuire a svilupparla? “Bergamo ha cambiato l’asset della sua accoglienza turistica e anche le mie attività, in una certa misura, hanno tratto vantaggio da ciò, anche se “La Marianna”, in particolare, ha più una vocazione indigena. Parlando di mototurismo, l’amministrazione comunale ha favorito il fenomeno lasciando comunque in Città Alta agibili alle due ruote i passi sbarrati al passaggio delle auto. Non ho una formula per incentivare questo tipo di attività, ma certamente la Bergamasca è nota anche per essere un piccolo paradiso per gli appassionati del genere. Persone che condividono uno sport bellissimo e sano qual è quello della moto, persone vere e genuine come i tantissimi piloti – salvo pochissime eccezioni, che ho incrociato nel mondo delle gare, dove regnano sovrani la goliardia e il savoir vivre. Ho partecipato di recente alla manifestazione di Isny in Germania dove ci ha accolto un intero paese in festa, dove famiglie intere, lungo il percorso, ti salutavano e ti applaudivano al passaggio un pò come succedeva da noi ormai troppo tempo fa”. Scene che potranno tornare anche da noi, vincendo troppe chiusure elle moto fuoripista frutto di un ambientalismo a volte troppo ideologico? “Nel contatto con la natura e con i luoghi basta attenersi ai sani principi della buona educazione. Non attraversate pascoli e coltivi, quando incontrate dei viandanti sui sentieri spegnete le moto, salutate e lasciateli passare. Condividiamo la nostra passione senza imporla, non abbiamo che trarne benefici”. Una “ricetta” perfetta servita da un pilota ristoratore….

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